Tsundoku

Tsundoku

Oggi sono arrivati gli ultimi due libri comprati on line. Li ho sistemati nel solito angolo in bagno. Quello dove annido i libri non ancora letti. Una pila composta da libri ancora incellofanati e altri che portano i segni di una lettura appena accennata. 

Di alcuni ho sfiorato solo la copertina promettendo che il prossimo da leggere sarebbe stato quello.

Ho scoperto, grazie a un suggerimento familiare, che questa attitudine non è un vizio, ma un’abitudine sempre più comune a tanti. Quest’arte i giapponesi la chiamano tsundoku, termine che unisce tre parole: tsunde (accumulare), oku (mettere da parte), doku (leggere).

Più che una semplice descrizione di comportamento, racconta un certo tipo di rapporto con i libri. Accumularli non significa dimenticarli, né rinunciare a leggerli: vuol dire lasciarli lì, in attesa del momento giusto. Che sia domani, tra un mese o tra anni. Lo tsundoku, in questo senso, non è solo procrastinazione. È una forma di progettualità a lungo termine. E in un’epoca dove tutto è misurato, schedulato, ottimizzato, lasciare qualcosa in sospeso può essere un atto di libertà. Una forma di fiducia nel futuro.

Come tutti i praticanti spesso compro libri per istinto: la copertina, il titolo, l’odore della carta. È un gesto impulsivo, ma quasi sempre carico di senso. Ogni acquisto è una promessa. Spesso le motivazioni si intrecciano: un progetto da imbastire, un consiglio di un amico, per collezione o anche solo per trovare conforto nelle parole di un autore fraterno. 

Ammetto che ogni volta che entro in bagno la pila mi fa un certo effetto. Non è un totem della frustrazione intendiamoci, ma semplicemente un ricordo quotidiano di ciò che non si riesce a fare. Non leggerli subito non significa non leggerli mai. Significa rimandare con consapevolezza. La promessa resta. È solo posticipata.

Più che un accumulo inutile, la pila dei non letti, secondo i giapponesi, è una riserva emotiva. Ogni libro messo da parte oggi potrebbe essere quello giusto tra sei mesi, durante una crisi, un trasloco, un momento di noia o una pausa inaspettata. 

Non serve pianificare tutto. A volte è il libro che trova il lettore, non il contrario. Per questo, forse, è il caso di smettere di pensare allo tsundoku come a un difetto.

Non serve sforzarsi di “smaltire” la pila. Meglio tenerla lì, visibile, in ordine sparso, come un archivio di futuri possibili.

Claudio Lorenzoni

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